La Foresta Demaniale Limbara Sud (Berchidda, SS)

 

I monti di Limbara, una delle più alte catene di montagne della Sardegna, e il cui picco principale, il Gigantinu, s’eleva di milleduecento piedi sopra il livello del mare, què monti, che contemplati dal piano presentano, colle loro creste dentellate, un sì pittoresco aspetto, sono bagnati da copiose sorgenti e da numerosi ruscelli che discendono sino al mare. (…) I boschi che ho traversato sui fianchi dei monti Limbara, presentavano un gran numero di’alberi fruttiferi divenuti selvaggi.”

Così ci racconta la Gallura Antoine C.P. Valery (1835), uno dei tanti viaggiatori europei che al tempo visitarono l’Isola, nel suo  “Voyage en Corse, à l’Ile d’Elbe et en Sardigne”. Una natura aspra e forte che  si oppone all’uomo, al suo lavoro di lenta e continua trasformazione di quelle selve impenetrabili in terra da pascolare, in terra da coltivare.

Un paesaggio suggestivo, caratterizzato dai graniti che originano una morfologia accidentata e molto movimentata: grandi massi che sembrano essere in equilibrio precario, su cui solo i mufloni possono saltare. Bizzarre forme di erosione, cavità e grotte più o meno ampie, “allargate” a volte dall’uomo per poterle usare come ricovero per sé e gli animali. In questi luoghi lo “stazzo”, ossia la casa-azienda, diviene parte dell’ambiente naturale, parte della dell’isolamento e della solitudine delle campagne galluresi.

Lo stesso ambiente, le stesse cime rocciose, gli stessi fitti boschi in cui si nascose e visse “il muto di Gallura”, bandito leggendario, tragico testimone della vita del suo tempo. Le stesse cime rocciose su cui ancora volteggiano l’aquila reale e la più rara aquila bonelli, gli stessi fitti boschi dove si nascondono nelle cavità dei tronchi il gatto selvatico e la martora. Boschi un tempo abitati anche da cervi e daini, poi estinti a causa dell’uomo, che torneranno liberi su questi monti grazie all’uomo.

All’interno della Foresta, a Littu Siccu così come in altre località, si hanno ancora tracce di antichi insediamenti umani: nel caldo dell’estate, tra il verde della macchia mediterranea e il giallo oro dei prati, seduti su un vecchio ginepro piegato dal vento, è bello riposare immaginando il luogo abitato da uomini e donne che qui hanno trascorso la loro vita, custodendo il proprio bestiame, lavorando il latte profumato di erbe, coltivando piccoli orti ricavati all’interno della macchia, per proteggerli dai venti freddi di Maestrale e Tramontana.

Davanti a sé un’incommensurabile silenzio.

Le vicende del passato, hanno dunque fortemente modificato il paesaggio forestale: attualmente domina la macchia mediterranea, nelle sue differenti forme e stadi dinamici. La macchia più evoluta, a erica e corbezzolo, ricopre la maggior parte della foresta ma, dove i suoli sono più profondi, la lecceta riprende il sopravvento. Nei valloni più freschi e riparati,  al leccio si accompagnano l’orniello e qualche elemento di agrifoglio. Nei versanti più soleggiati e caldi, invece, ritroviamo ancora i segni delle trasformazioni compiute dall’uomo: i boschi di sughera hanno sostituito l’originaria la lecceta e ormai, anche per gli interventi di ricostituzione boschiva e per i rimboschimenti, la sughera si sta affermando come specie dominante. Altre formazione di  significativo interesse fitogeografico sono quelle di pioppo tremulo, a Monte Longheddu, e di  pino marittimo del Limbara, a Carracana.  Caratteristica la presenza della ginestra dell’Etna, unica genista arborea della Sardegna, che con le sue abbondanti e splendide fioriture, colora di giallo Vallicciola ed alcune altre località del Monte Limbara.

La storia e la natura. Da sempre hanno richiamato l’interesse di sa accostarsi al mondo con discrezione e voglia di vedere “oltre”. E’ così che il Limbara è diventato il cuore di diverse manifestazioni culturali: sempre è possibile incontrarsi nel museo Arte e Natura, nel bel mezzo del bosco, e a metà estate, tra queste rocce e questi boschi si fa musica con Time in jazz.